Nei commenti al post su Europa e Shoah ha preso il via una discussione promettente. L'argomento e' la storia. Qui cerco di spiegare come la penso - o meglio, le domande che mi faccio io, che di professione ho fatto lo storico fino a qualche anno fa.
Poniamo che uno storico, tra qualche secolo, decida di studiare la sicurezza stradale nelle citta' italiane, nel decennio tra 1990 e 2000. Inizierebbe leggendo il Codice della Strada, e scoprirebbe che nel 1992 la cintura di sicurezza e' stata resa obbligatoria. Poi guarderebbe le multe spiccate per contravvenzione dell'obbligo, che furono poche, e ne dedurrebbe che l'obbligo e' stato universalmente osservato. Difatti in tutte le vetture in commercio, e poi in circolazione, sono state installate le apposite cinture. Certo, i quotidiani hanno registrato qualche borbottio e a Napoli e' girata la curiosa leggenda della T shirt su cui era raffigurata la cintura allacciata. Ma in genere la legge e' stata massicciamente osservata.
Ed ecco pronto l'articolo per la pubblicazione: guarda che bravo l'autore, che ha messo insieme fonti giuridiche (storia delle istituzioni), fonti di polizia (storia sociale), ha usato metodi quantitativi sui dati trovati negli archivi ACI e Confindustria, e -ciliegina sulla torta- pure qualcosa di stampo francese [certo, tra qualche secolo continueranno a esserci storici di stampo francese] sui rumors, le leggende metropolitane e l'oralita'.
Tutto bene. Salvo il fatto che io, e voi, se siete italiani, avete iniziato a usare la cintura di sicurezza qualche anno dopo il 1992. Io, personalmente, e cosi' i miei conoscenti, abbiamo iniziato piu' o meno intorno al capodanno del Duemila. Quindi quel bravo storico di cui sopra prendera' un granchio clamoroso. Si e' fatto, come si dice, condizionare dalle fonti. Che sono sempre parziali.
C'e' una leggenda su Delio Cantimori, un grande storico. Sembra usasse dire a uno dei suoi piu' brillanti allievi, Marino Berengo, il quale divenne uno dei piu' grandi storici del Novecento: "lei capira' di essere morto solo quando leggera' il suo certificato di morte". O, per dirla brevemente: tu che leggi, lo hai letto il tuo certificato di morte?
Ovviamente no, perche' sei vivo.
Quello che voglio dire, a proposito della inesistenza o meno di questo o quell'ordine scritto di Hitler, e' che il documento, la fonte, e' uno strumento, non un idolo. E i bravi storici sono quelli che riescono a non farsi strumentalizzare. Ad interpretare i documenti e fornirne una interpretazione verosimile, tenendo presente che ogni ricostruzione e' sempre parziale.
Questa e' una affermazione molto, molto impopolare. In seguito alla apertura degli archivi sovietici (e non necessariamente perche' il comunismo e' finito), ho visto affermarsi in Italia una teoria secondo la quale i documenti parlano da soli. L'interpretazione, il contesto non serve. Basta trascrivere la fonte, ed ecco da sola la spiegazione degli eventi. Questa convizione si e' affermata parallelamente al sensazionalismo della stampa - avete presente i diari di Mussolini? che fermava la propria attenzione particolarmente sulla storia contemporanea. Da sinistra, per mostrare che il fascismo non era affatto sconfitto e stava anzi vestendo i panni di Berlusconi e Gladio e P2 e sbroc sbroc. E da destra, per mostrare che per mezzo secolo l'Italia aveva davvero vissuto sotto la minaccia di invasione sovietica, con i cavalli dei cosacchi che si abbeveravano in piazza san pietro. E sbroc sbroc.
Perche' tanti storici si sono prestati al gioco, hanno preso a pubblicare piu' articoli sui quotidiani che ricerche serie? Per tante ragioni, tra cui questa: la professione di storico, come piu' in generale tutte le professioni universitarie, era sotto attacco feroce, nella forma di riforma universitaria. E insomma uno deve campare, pure se e' professore.
E cosi', mentre Tangentopoli andava riscrivendo la storia del Paese nelle aule dei tribunali, si e' fatta strada la bizzarra idea secondo cui i fatti parlano da soli ed i documenti si limitano a riflettere i fatti. E gli storici si sono trovati indosso i panni del giudice. Investiti cioe' del potere di pronunciare condanne o assoluzioni, in base a riscostruzioni di parentele e complicita'. Pochi anni dopo Woytyla spiegava al mondo intero che la Chiesa era composta di uomini e che gli uomini sbagliano. Una poderosa riscrittura della storia, anche quella. Finalizzata a teatrali cerimonie in cui i cattolici assolvevano se' stessi in nome della buona fede.
Lo so, lo so, "Il giudice e lo storico" e' il titolo di un libro sul processo Calabresi. Ma io sto parlando di altro. E chiedo ai lettori, secondo voi dove sta la differenza tra giudice e storico? Scartabellavo nelle carte d'archivio dei processi dell'Inquisizione, proprio mentre Di Pietro teneva le sue requisitorie e non sono mai riuscito a trovare una risposta completa e soddisfacente a questa domanda. Ma una risposta provvisoria, ora come ora, e' questa: i giudici pronunciano condanne, o assolvono, dal momento che esistono delle regole, delle leggi. Che nel lavoro dello storico non ci sono.
Ora, date una occhiata a questo articolo qui. Sensazionale rivelazione. Il Reich nazista finanziava in maniera cospicua il Mufti di Gerusalemme, Haj Amin Al Husseini, fondatore del nazionalismo palestinese. Quel bel tomo incassava 50.000 marchi al mese (la paga di un alto ufficiale era 25.000 marchi all'anno). Nazisti tedeschi e nazionalisti palestinesi -diciamo- condividevano qualche idea a proposito di come migliorare il mondo. Beh, non proprio una rivelazione sensazionale, che i due movimenti avessero qualcosa in comune era diciamo noto da tempo: il contesto, come dire, ci e' noto, e solo qualche allucinato alla estrema sinistra lo nega, ed ha la stessa credibilita' di quelli che ritengono che la Terra sia piatta.
Portare alla luce questo fatto signfica condannare i terroristi palestinesi in qualche tribunale di Norimberga? Magari !, dico io. Purtroppo non va cosi', ed a considerare il nazismo per quello che e', come ho scritto qualche post fa, sono davvero in pochi. L'argomento delle complicita' nello sterminio e' decisamente impopolare, e di questi tempi sono in molti a pensare che "gli ebrei" abbiano espropriato qualche categoria di deboli del tanto redditizio status di vittime.
Il punto e' che nazisti ed ebrei, sono diventati simboli che poco hanno a che fare con la realta' storica. E ogni trattazione delle provate e provatissime complicita' palestinesi ed islamiche nello sterminio, va prevedibilmente incontro alla obiezione farlocca sulla banda Stern, ed il loro progetto velleitario di alleanza tra Stato ebraico e Reich nazista. Con il quale i nazisti si pulirono il Q, preferendo dirottare carrettate di soldi verso l'altro fronte.
Perche' questo bisogno di simboli? Perche' chi gioca a fare il giudice con i fatti storici, non ha un apparato legale da applicare e in base al quale pronunciare condanne o assoluzioni. Ha un proprio ordine di valori, come tutti. Fino ad un certo punto, tra questi valori ci stava anche il progresso, ed ogni storico aveva una propria idea di progresso; che poi e' sparito dal Pantheon, o anche solo dalla cassetta degli attrezzi degli storici.
E io non sono sicuro che questo sia un male, ma magari lo spiego meglio un'altra volta. Grazie a chiunque vorra' intervenire. Non necessariamente storici, eh.
4 commenti:
I documenti da soli non parlano. Anzi sono muti. I documenti ti parlano solo quando li incroci con altro. Li contestualizzi. Li spieghi a te stesso e agli altri. La cassetta degli attrezzi di uno storico ha tanti strumenti e poche certezze. Si lavora sullo scarto - su quello che gli altri non hanno visto. Ma si è consapevoli che si tratta sempre di ricostruzioni parziali. Per me, per esempio, è stata una difficile prova confrontarmi con le lettere del signor Benito Mussolini. Niente di ciò che ha scritto muta il mio "giudizio morale" sul suo operato - fondato sulla mole di documenti altri che si è lasciato dietro - ma ho dovuto sforzarmi di entrare nella sua testa. Non è stato piacevole. Tuttavia penso che gli storici debbano sforzarsi di entrare nel tempo e nei modi di ciò che studiano. E' più semplice demonizzare che comprendere. E comprendere non è giustificare. Chiudo qui, che l'archivio chiama ma ne riparliamo..
barbara
sono contento che il dibattito si apra con Barbara.
"uno storico cura le proprie nevrosi andando in archivio", lo disse un anonimo ricercatore, Milano, 2002.
Per quanto riguarda le cose che "parlano da sole", è un po' la stessa storia dei "numeri che parlano da soli" quando si parla di morti israeliani e palestinesi. Ragionamento che ci fa capire che fra tedeschi e americani nella seconda guerra mondiale i primi erano i buoni vittime innocenti perseguitati eccetera eccetera e i secondi i cattivi aggressori imperialisti colonialisti eccetera eccetera.
Non so se l'archivio ci cura le nevrosi o ce le procura -)) Volevo aggiungere una postilla su una questione che mi sta molto a cuore nella riflessione storiografica sull'antisemitismo, sul corpus delle leggi antiebraiche introdotte in quasi tutti i paesi europei e sullo sterminio. Molti storici tendono a concentrarsi su uno dei due poli: la vittima o il carnefice. E in alcuni contesti non si può fare altrimenti. Ma per quanto relativo alle leggi resta fuori il resto della società che ne è stata comunque coinvolta. Esempio: un ebreo italiano che nel 1938 volesse tentare di essere discriminato (ossia cercare di tenersi dei diritti) doveva presentare circa 14 certificati prodotti da altrettante agenzie (il comune, l'anagrafe, la parrocchia ecc). Quanti rilasciavano la documentazione finivano - indipendentemente dalle loro personali opinioni - per alimentare la disdicevole macchina dell'antisemitismo di stato. Ora di questa categoria non si occupa nessuno. Non si possono definire collaborazionisti (pochi ma alcuni lo fecero, durante il governo Badoglio, che lasciò in vigore le leggi, bruciarono le liste comunali e questo rese il lavoro dei nazisti più difficile) ma non si possono neanche dire innocenti. Restano lì a interrogarci.
Barbara2
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