martedì 29 luglio 2008

gnagnarà

Gnagnarà sarebbe, in dialetto livornese, lo עין הרע, letteralmente l'occhio cattivo, vale a dire il malocchio. Il folklore sefardita è in effetti ricchissimo di rimedi e protezioni contro il malocchio, tant'è che anche per fare un complimento a un bambino si usa premettere, rivolti alla madre "בלי עיו הרע", senza malocchio, senza invidia.
Qualche giorno fa mi è capitato di leggere di un divertente dialogo tra insegnante ed allieva durante un corso organizzato da Aish haTorah, una fondazione che ha lo scopo di aumentare l'osservanza delle mitzwot tra i giovani. Il loro modello di osservanza, come di simili organizzazioni, è quello che vigeva a livello di norma (e giammai di comportamento concreto) in un qualche shtetl lituano di primo Novecento, e il loro obiettivo è far "ritornare" a quel livello di osservanza le giovani generazioni americane - il sottinteso ideologico ovviamente è che solo quello sarebbe l'Ebraismo originale ed integrale. L'insegnante stava quindi spiegando alle ragazze le molte sfaccettature del concetto di צניות, modestia, che nella sua versione consisterebbe innanzitutto nel nascondere il proprio corpo fino a passare inosservata. Una allieva sefardita, che non ne poteva più di sentirsi raccontare quanto bisognasse coprire capelli, braccia, gambe etc., la interruppe dicendo che per come aveva imparato nella sua famiglia, צניות significa soprattutto non ostentare ricchezza davanti alle persone meno fortunate e che una minigonna di jeans è quindi più modesta di una gonna lunga firmata Armani. Il quadro ideologico della signora insegnante è andato in frantumi.
Vedi un po' quanto può essere importante nel mondo sefardita il principio del non ostentare; anche per mettersi al riparo da gelosie e invidie altrui. Entra persino nel folklore.

giovedì 24 luglio 2008

ויואל משה

ויואל משה è il titolo di un testo di halacha scritto dallo Admor (Rabbino capo) del gruppo hassidico Satmar. E' la prima esposizione sistematica dell'opposizione al sionismo da parte del mondo haredi (e non è mica tanto recente, è uscito nel 1961). Potete leggere la voce che gli dedica Wikipedia se avete delle curiosità sulle argomentazioni: sono del tipo che il sionismo è responsabile della Shoà. Il che è orrendo, ma non è tanto diverso da chi argomenta che reazioni antisemite alla politica di Israele sono tutto sommato comprensibili.
Il punto di partenza della argomentazione dello ויואל משה è un passaggio del Cantico dei Cantici, in cui l'amata si impegna ad aspettare che il suo bello si svegli. Un passaggio del Talmud spiega che nella metafora il bello è Dio, e l'amata è ovviamente Israele, il popolo ebraico. E "non svegliare" significherebbe che agli ebrei è proibito immigrare in massa in Terra di Israele - da cui deriverebbero tutte le altre proibizioni, incluso quella di mostrare simpatie per il sionismo, persino parlando l'ebraico moderno. L'argomentazione ha un punto teoretico debolissimo, ovvero che trae delle mitzwot, dei comandamenti, da una parte haggadica (e questo è contrario a ogni regola esegetica). E in ogni caso, la proibizione può essere aggirata immigrando in Terra di Israele in gruppi familiari.
Io però ho una riflessione sul punto di partenza, ovvero la relazione erotica tra ebrei e Terra di Israele, che fa indubbiamente parte del vissuto ebraico contemporaneo. Ricordo di aver letto che negli anni Sessanta, più o meno contemporaneamente all'uscita del commentario di cui sto parlando, un gruppo di sociologi israeliani decise di fare una ricerca sulle motivazioni che spingevano gli ebrei americani a fare alyah. I ricercatori erano colpiti dalla forza delle immagini erotiche con cui i nuovi immigrati descrivevano il Paese. Gli uomini apparivano tutti bellissimi, le donne tutte sensuali: non so se fosse davvero così (mai come nella sessualità la percezione è più forte della realtà) ma quando incrocio gruppi di ragazzi americani del Birthright ho la sensazione che le cose non siano molto cambiate. Come dice mia moglie: si tagliano gli ormoni con il coltello. E poi uno pensa alle pagine finali del Lamento di Portnoy, che attingono anche a questa dimensione sensuale del rapporto tra popolo e terra.
Una dimensione che l'autore del commento cerca ovviamente di rimuovere e che poi riaffiora: lo ויואל משה sceglie di esporre le sue teorie antisioniste a partire da uno dei più bei poemi d'amore della letteratura mondiale, ma scegliendo con cura un verso che parla di rinuncia. E per avere una idea di come è vissuta la sessualità all'interno del gruppo che ha prodotto il volume, consiglio di dare una occhiata a questo articolo in cui si raccontano le vicissitudini di una fuoriuscita dalla setta. Insomma: la teologia, la halachà e lo stile di vita dei Satmar sembrano ispirati ad un assoluto ascetismo, a una etica della rinuncia, che si estende anche alla relazione tra ebrei e terra di Israele. E che, nella storia dell'ebraismo, è qualcosa di assolutamente marginale.