Nelle ultime settimane e’ successo che ci siamo mobilitati. La Knesset stava per discutere (e quindi, forse, approvare) un progetto di legge che avrebbe limitato i poteri dei rabbini non ultraortodossi. In particolare era in gioco la possibilita’ di effettuare conversioni riconosciute dallo Stato. Il progetto di legge era pensato per risolvere la situazione di molti immigrati dalla ex URSS, che non sono considerati ebrei dalla normativa religiosa. E finiva per dare allo Stato il potere di compilare liste di rabbini autorizzati. Risultato: una porzione consistente della popolazione di Israele si sarabbe trovata a dipendere, per quanto riguarda la loro cittadinanza, dalle ubbie di alcuni rabbini ultraortodossi – di quelli che nemmeno autorizzano i propri adepti a fare il servizio militare, per intendersi.
E quindi e’ successo quindi che da questa parte dell’Atlantico ci si e’ inc...quietati di brutto, ed e’ partita una campagna da parte delle correnti ebraiche non ultraortodosse – che qui sono la maggioranza. Reform, Conservative [aka Massorti,] Ricostruzionisti, Modern Orthodox, ecc. ecc. si sono mobilitati, hanno riempito di messaggi le E mail e le segreterie telefoniche dei parlamentari di Israele e delle organizzazioni ebraiche della Diaspora – i cui leader rilasciavano preoccupate dichiarazioni del genere: Ma che cazzo state combinando la’ in Israele solo per accontentare una cricca di fanatici? O anche: questa e’ una faccenda di diritti umani e ve lo dico io che mi chiamo Sharansky e che di diritti umani ne so qualcosa. Eccetera.
Campagna che ha sortito un buon effetto, perche’ la discussione del progetto di legge e’ stata rinviata di sei mesi, ed e’ molto probabile che il progetto di legge venga stravolto e reso piu’ ragionevole. Sono fischiate molte orecchie nel governo di Israele, incluse quelle del primo ministro Netanyahu, detto Bibi. Il quale ha fatto sapere senza troppi complimenti che il partito che aveva proposto la legge non era poi cosi’ indispensabile al governo.
Ora – giusto per capirci. Una volta e’ capitato che un rabbino bizzoso israeliano abbia detto a voce alta due scemenze sulla Shoa, che cioe' e’ stata la punizione di Dio contro gli ebrei assimilati. Purtroppo sono cazzate di senso comune tra gli ultraortodossi. Io le ho sentite dire anche in Italia, al posto di assimilati metteteci riformati; non ricordo di aver letto nessuna sdegnata protesta da parte dei Custodi della Memoria. In Italia si sono lette dichiarazioni scandalizzate da parte dei dirigenti della Unione di [alcune] Comunita’ Ebraiche Italiane.
Risposta da Israele: e chi se ne frega.
Le cose sono ovviamente diverse quando a mobilitarsi e’ la piu’ grande comunita’ della Diaspora, che spedisce consistenti donazioni in Israele, che investe in buoni del tesoro israeliani, che finanzia riforestazioni, Universita’ e partiti politici. Una comunita’ in cui gli ortodossi sono minoranza, che ha prosperato grazie alla separazione Stato-Chiesa caratteristica della legislazione americana – e che ha quindi qualche problema a capire come mai lo Stato compili liste di rabbini abilitati (what?) liste da cui si trovano ad essere esclusi rabbini americani (WHAT?) non ortodossi (WHAT THE HELL?). By the way, per il lettore italiano: qui nessuno trova strano che siano i rabbini a decidere le conversioni [who else should decide?] e che chi diventa ebreo abbia anche il diritto di diventare cittadino di Israele [isn’t a Jewish Country?] Una comunita’in stragrande maggioranza liberal e Democratica. What’s an assimilated Jew? The one who voted Repubblican once. He is lost forever to his relatives and friends.
Una comunita’ il cui passatempo preferito e’ il dibattito interno. Ora, l’ultima moda di questo dibattito interno e’ stata che i gggiovani stanno perdendo interesse verso Israele. Si tratta, beninteso, di timori esagerati, visto che i suddetti gggiovani ebrei sciamano ogni estate verso Israele in grandi numeri, grazie a programmi come il Birthright Israel. E percentuali mai viste prima di giovani ebrei americani, rampolli di famiglie liberal, si arruolano perfino nell’esercito. Ma e’ vero che la politica israeliana e' complicata, per uno stramaledetto sistema proporzionale, che se uno vuole cambiarlo fonda un partito e lo chiama Cambiamento. Ci sono al momento sedici partiti per centoventi seggi. Roba difficile da comprendere per chi cresce in un sistema bipartitico, dove perdipiu’ tutti gli ebrei votano per il medesimo Partito.
E quindi, e questo lo ho sentito dire anche nella sinagoga che frequento questa estate, what a fabolous exciting opportunity to get more people involved in Israel. Sicche’ mi sono messo di buzzo buono pure io a fare campaign, come si dice in Italia, all’americana. E mail a parlamentari di Israele, telefonate notturne (quando qui e’ notte voglio dire). E poi telefonate in America, quando qui e' giorno, per convincere a fare altre telefonate, ed E mail per far spedire altre E mail, e persino campagne porta a porta, ed ogni santa volta a chiedere would you consider another form of support (=soldi). Ed e’ andata come e’ andata: bene, cioe’.
Ora, a me fare politica piace, particolarmente quando si vince, che in Italia devo dire e’ successo poche volte, ma proprio poche. Se devo ricordare l’ultima volta che sono stato parte di un movimento dal basso che e’ riuscito a cambiare le cose per il meglio, mi viene in mente solo la manifestazione del 25 aprile 1994. Quella volta che ho preso acqua, tanta ma tanta, per mettere in chiaro, assieme a un milione di persone,, tra cui Nanni Moretti, che il governo Berlusconi e fascisti e leghisti non era una buona idea per l’Italia. Difatti e’ caduto poco dopo – merito (anche) di quella manifestazione cui avevo preso parte. E per la quale mi ero, come si diceva, sbattuto, con un logorio di telefonate e visite porta a porta per organizzare pullman e spostamenti. Non c’era ancora la E mail, almeno: io non la avevo.
Il fatto e’ che non mi vengono in mente altre manifestazioni cui ho partecipato che abbiano in qualche modo funzionato, che siano servite a ottenere lo scopo per il quale venivano convocate. Bisogna andare oltremodo indietro, forse addirittura al dicembre 1969, quando partiti e sindacati di sinistra portarono in piazza un sacco di gente per mostrare al mondo quanto era difficile fare un colpo di Stato in Italia. E ci riuscirono.
Sicche’ mi chiedo – a che cavolo servivano le manifestazioni ed i cortei? Perche’, pur essendo consapevole del nullo risultato, mi sono intruppato con cosi’ tanti 25 aprili, primi maggi, ucci-ucci ci mangiamo la Falcucci, cortei contro il razzismo e via mobilitando? Dove stava il punto? Tutte quelle telefonate, notti insonni, tensione prima del corteo, e dammi un cinque che la manifestazione e’ venuta, e il furgone in testa al corteo con il minimo che non tiene (e metti la seconda!), e leggi il testo concordato con la questura, e guarda quanti siamo, e la rai ne parla, e raitre l’intervista, e i numeri della questura da contrastare (“ma c’era anche il siulp!”), e la tensione, qualche volta con solide ragioni, che il solito gruppo di autonomi scatenasse la solita rissa e magari fronteggiare le minacce dei fascisti per tutta la settimana prima. Una volta il corteo contro il razzismo riusci’ cosi’ bene, che il giorno dopo noi di sinistra facemmo una colletta per pagare una torta al cioccolato da recapitare a casa del segretario del Fronte della Gioventu’ – c’era scritto Fecciaccia nera. Bello vero? Adesso la lega ed i razzisti sono al governo. Buono il cioccolato, ah si’. (Ah, dite che non e’ stato il 25 aprile 1994 a far cadere il primo governo Berlusconi? Vabbe’, non importa. Vuol dire che anche quella e’ stata liturgia, e non politica. Comunque, per me si’).
Nelle manifestazioni il popolo-di-sinista si incontra e celebra la propria irriducibilita’ al sistema di pensiero dominante, proclama che un altro mondo e’ possibile e che la globbalizzazione neoliberista e’ cacca. Per un buon paio di decenni a questa roba ho creduto e lo ho pure detto e scritto. E la banale verita’ e’ che quelle manifestazioni non avevano nulla di politico, non cambiavano una caccola di nulla, servivano solo per vedersi e farsi vedere ed erano insomma occasioni liturgiche. Celebrazioni cioe’ religiose, per le quali si interrompe il ritmo del lavoro (o dello studio). Ci si va provvisti di un dato insieme di strumenti rituali e bandiere e immaginette. Grandi, ma comunque immagini sono. Non ci sono preghiere, ci sono slogan. Ci sono luoghi in cui ritrovarsi – luoghi sacri, luoghi della Memoria.
Parola che, tra parentesi, ed in quanto ebreo, mi ha proprio sfracassato la uallera. Come se essere ebrei fosse solo una questione a) di persecuzioni b) di nonni. Ma da memoria della Shoah si e’ passati a memoria della Resistenza, e poi a memoria del Sessantotto e insomma memoria di un sacco di roba, di ripassare nelle stesse strade e nelle stesse piazze e davanti agli stessi luoghi dello stesso potere per dire noi siamo contro, siamo all’opposizione, noi non ci stiamo. Invece ci stavamo dentro benissimo, nel senso che si andava in manifestazione, anche (o forse precipuamente) per-conoscere-gente che condivide il tuo stesso ordine di valori, la tua cultura, le tue scelte, il tuo linguaggio e magari anche il tuo stile di abbigliamento e gusti musicali.
Mi manca tutto questo? No. Ne ho fatto parte? Si’. Ho imparato qualcosa? Che non si ottiene nulla, salvo creare gruppo, socializzare, celebrare quel che si e’ – sostanzialmente in opposizione a quello che altri celebrano, in una altra cultura. Loro guardano la Finivest, noi ascoltiamo Radio popolare, loro comprano all’esselunga, noi equo e solidale. ecc. ecc.
Questa dimensione liturgica, questo creare comunita’ sulla base della protesta (o del sentirsi altro, o antagonisti) e’ esattamente quello che manca nella politica all’americana di cui ho avuto esperienza, e che -altra differenza- funziona. Ottiene risultati. Non c’e’ una comunita’ da creare perche’ la comunita’ gia’ esiste. Il rabbino fa un sermone e parla di questa importante occasione e grave problema. Nella sinagoga in cui stavo aveva pure le slides per spiegare come si va sul sito tale per spedire la tale E mail al tale politico israeliano. E cosa scrivere nel subject per mettere in chiaro che era il denaro per la sua campagna elettorale che era a rischio. Dopo Shabbat siamo passati alle telefonate a casa di quelli che non ho visto al tempio, e ogni telefonata era accompagnata da Conosci qualcuno che potrebbe essere interessato, e siamo pure passati di casa in casa, beniteso dei membri della comunita’, di quelli che sappiamo essere a casa perche’ comunque se sono in vacanza lo sa gia’ la segretaria e se sono all’ospedale lo sa il rabbino. Il risultato di questa straordinaria mobilitazione lo si e’ visto fischiare nelle orecchie di Bibi.
Ora, io ogni tanto provo a spiegare questa cosa qua ai compagni, a quelli che ho conosciuto nei due decenni di cui sopra, e con cui ho condiviso pioggia e varie avversita’ (e poche vittorie) – ma la risposta che ottengo e’: perche’ tutto questo ben di Dio di mobilitazione ed energia non si mette in movimento per risolvere il problema dei problemi, ovvero la pace con i palestinesi e mandare a casa Netanyahou anziche’ solo fargli fischiare le orecchie e magari far saltare il suo partito di criminali responsabili (tutti, tutti) della guerra in Libano, dell’Olocausto di Gaza, della strage di Sabra e Chatila, e anzi far cadere il governo, e anzi far costruire uno Stato davvero democratico (non piu’ ebraico cioe’), che sia il degno rifugio dei nipoti delle persecuzioni e che dichiari al mondo che un altro mondo e’ possibile, a patto che non siate piu’ ebrei ma fratelli nella lotta contro il neoliberismo sbroc sbroc?
Le risposte che mi verrebbero sono Perche’ stai dicendo una fila di cazzate. Voglio vedere te ad andare di casa in casa a chiedere a dei contribuenti ebrei dei soldi per un movimento che abbassi le pretese degli ebrei . E a dire, senza ridere: altrimenti in Europa riprenderanno i pogrom, e poveri immigrati islamici hanno pure qualche ragione nel vederci come avversari se non ci schieriamo abbastanza decisamente per i due popoli due Stati. Ad un delirante ragionamento del genere, qualsiasi persona di buon senso risponderebbe che e’ una fila di cazzata affermare che sono gli ebrei a causare antisemitismo evocandolo troppo spesso. A maggior ragione lo risponderebbe un ebreo americano, che non e’ disposto –in questo Paese non lo e’ nessuno- a fare rinuncie oggi, per ottenere chissa’ quale ipotetico vantaggio futuro. Questo e non altro e’ il ragionamento di chi chiede che Israele rinunci a Gerusalemme, nell’illusione che gli integralisti islamici si calmino in tutto il mondo.
Hanno problemi a trovare consenso tra gli ebrei americani, persino quelli di J Street, che hanno un programma molto piu’ minimale e realistico rispetto a quello utopistico delineato sopra. Il cui sbocco massimo sarebbe la dissoluzione del popolo ebraico in un piu’ ampio, e sempre sconfitto, popolo della sinistra. E problemi di consenso sono, in America, problemi di soldi – difatti J Street va a bussare alle porte di benefattori arabi. Finora ha schivato quelli piu’ ambigui, ma questo non aumenta la popolarita’ tra gli ebrei. Per quanto bravi, voglio dire, loro possano essere con il marketing – ed indubbiamente lo sono, in USA funziona la strategia di presentarsi come “noi siamo quelli che danno voce alla maggioranza silenziosa, emarginata dai politici di professione”. Funziona, pero’, a breve, che dopo qualche mese che stai nei media (e quelli di J Street ci stanno piu’ frequentemente delle organizzazioni mainstream) non riesci piu’ a presentarti come emarginato. E siamo di nuovo al problema dei fondi. E del finanziatore dalle frequentazioni palestinesi, quindi sospetto.
Perche’, e questa e’ la risposta che riservo per quei compagni che veramente mi fanno spazientire , dopo un mese nel New England, e svariate conversazioni ed esposizione ai media, mi sono reso conto che per molti americani palestinese e' sinonimo di terrorista. Gli americani, anche quando sono Democratici e Liberal, e pure se non sono ebrei, sono poco sensibili alle frottole di parte araba - la storia dei nativi arabi cacciati da invasori sionisti venuti dall'Europa, p. es., che gli intellettuali europei bevono per vera.
Considerano Israele lo Stato che sta legittimamente da quelle parti, e i terroristi palestinesi come una minaccia anche per loro. Cosi' vedono le cose gli elettori democratici del New England, una delle regioni piu' liberal degli USA. Credo che in aree rurali e conservatrici, palestinesi ed arabi in generale siano ancora meno popolari , basta vedere la mobilitazione contro la costruzione di nuove moschee. Insomma, l'esatto opposto della percezione che si ha in Italia secondo cui Israele e' al fondo illegittimo e la sua nascita segnata da un qualche peccato originale cui sarebbe moralmente obbligato a porre rimedio, magari assieme a tutti gli ebrei del mondo. Facendo proprio il punto di vista -la narrativa, dicono qui- dei palestinesi, naturalmente.
Ecco, a chi dedica il proprio tempo a propagandare il punto di vista dei palestinesi chiedo se mai ha pensato che ne esista anche uno israeliano e per quale ragione quello dei palestinesi merita di essere ascoltato – o creduto, mentre quello israeliano andrebbe messo sotto silenzio. Cosi’, su due piedi, sapete dire almeno tre nomi di leader dei coloni, cosi’ come sapete identificare i nomi dei leader di Hamas? No, vero? E allora, quale e' il punto di vista non rappresentato nei media? Chi mette a tacere chi?
La sinistra italiana assieme alla quale ho fatto un pezzo di strada mi chiedeva di rinunciare alla mia identita’ e di assumere la loro – la loro liturgia di manifestazioni (tutte di Sabato, cioe’ Shabbat), i loro simboli tra cui la immancabile kefiah, la loro appartenenza in cui di ebraico c’era solo la Memoria . E qualche grossa lacuna, dentro questa mitologica Memoria: la piu’ macroscopica, quella del Mufti di Gerusalemme. E in cambio della partecipazione a questa identita’, dell’ingresso in questa religione, c’era la incomparabile ricompensa del sentirsi parte del gruppo di quelli che le hanno perse tutte, ma proprio tutte. Hanno fatto tante, colorate, manifestazioni. Tutti vestiti con gli stessi colori. E non hanno ottenuto nulla – salvo una volta, forse, mandare a casa Berlusconi. Non per sempre.
Ecco, il risultato, voglio dire. Nullo, in Italia. Ben programmato, ed ottenuto, qua in America. Mi sembra una differenza non da poco rispetto alla politica che mi sono trovato a fare qui Una esperienza inebriante, devo dire, che nella politica italiana mi mancava.
Pero’ mi e’ anche mancato un qualche altro apporto dall’Italia. Ma, scusate, una Israele piu’ pluralista, non dovrebbe essere un obbiettivo di sinistra, progressista e democratico? Si’, vero? E allora dove cavolo e’ stata la sinistra ebraica italiana, in queste due settimane? Ma no ... se non c’e’ di mezzo la palingenetica pace con i palestinesi non vale la pena, come si dice, di mobilitarsi.